Nella semioscurità di una chiesa sconsacrata gli spettatori prendono posto, incuriositi, attorno ad una passerella di legno rialzata, che ricorda una ypsilon rovesciata. Al centro, una sedia troneggiante e un ombrello orientale dalla tonalità purpurea si fronteggiano, l’uno di fronte all’altro, in attesa che qualcuno venga ad animarli. Questo è tutto. Al resto ci pensa l’ex Chiesa di San Mattia, involucro maestoso e seducente, che indirizza lo sguardo verso l’alto, per spiare l’apparato ornamentale e pittorico di metà Settecento. L’occhio si muove quasi imbarazzato tra i fregi artistici e il minimalista allestimento scenico scelto dalla compagnia Archivio Zeta, finché arriva il buio a inghiottire tutto. Allora si resta in attesa, si acuiscono gli altri sensi.
D’improvviso una voce interrompe l’assenza e scomoda il pubblico, chiedendo: “perché veniste?”. La luce investe gli spettatori e li costringe al dialogo con Gianluca Guidotti, l’edipo re degli Archivio Zeta. Ma ci pensa il gioco teatrale a far tirare un sospiro di sollievo: noi siamo solo il coro di questo spettacolo, non siamo obbligati a rispondere, nessuno deve rompere il ghiaccio e intervenire, si possono ignorare i numerosi appelli di Gianluca, tanto ci pensa Tiresia (Enrica Sangiovanni) a interagire con lui. Così, l’Edipo re degli Archivio Zeta prende avvio, accompagnando lo spettatore in un percorso che reinterpreta in chiave contemporanea la tragedia sofoclea, secondo la traduzione di Federico Condello.
Eppure, quell’interrogativo continua a risuonare nella testa, così come altre sono le domande che Gianluca rivolge al pubblico, che poi sono le stesse che Edipo formula agli abitanti di Tebe, città maledetta dove imperversa la peste come punizione (e monito) di parricidio e di adulterio. Ma se la tragedia è fin troppo nota, resta da capire qual sia il senso di quella domanda per noi, spettatori d’oggi. Cosa cerchiamo a teatro, cosa vogliamo dal teatro, perché lo preferiamo ad altre espressioni più o meno artistiche. Perché, insomma, venimmo. Quale ruolo è attribuito a questa forma di coro contemporaneo. Cosa chiediamo alle compagnie, come decidiamo di rispondere.
È una domanda che ci si è portati dietro fino al dibattito post-spettacolo, condotto dagli stessi attori e da Marco Antonio Bazzocchi, docente di Letteratura Italiana Contemporanea dell’Università di Bologna. Si è discusso di sacro e di profano, della passione travolgente del desiderio di conoscenza che guida Edipo, della percezione del limite umano e della tensione verso l’assoluto. Ma, soprattutto, del tentativo teatrale di ricreare uno spazio rituale in cui far emergere un’idea di comunità.
Perché, in fondo, il segreto e la bellezza del teatro, per lo meno di un certo modo di concepire il teatro oggi, convergono tutti in questa tensione, più o meno volontaria, più o meno inconsapevole, di interagire con l’altro e di muoversi nel famoso spazio di una autenticità, se non fosse che di questa parola si è abusato abbondantemente. L’autentico sta nel contatto con l’altro, nello “scandalo” teatrale, che passa non solo attraverso la concretezza del corpo degli attori (e degli spettatori), ma anche attraverso il percorso critico che spettacoli come Edipo re degli Archivio Zeta costringono a intraprendere, sollecitando riflessioni profonde tanto sul sé quanto sulla nostra voglia di comunità. Nel contesto storico in cui ci muoviamo, ovvero nello sprofondamento di un senso collettivo (che comunque continuiamo a ricercare), la dimensione teatrale può offrire, in parte, la risposta ad un bisogno profondo e ancestrale di comunità. Ecco allora la necessità di sfondare la quarta parete, di interagire con l’altro, di attivare una ritualità in cui non ci si limita ad allontanare Edipo da Tebe, ma si discute della portata di questo allontanamento nella società di oggi, in una forma di teatro politico che stenta ad emergere, ma che pure c’è e resiste.
Edipo re
Regia Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti
traduzione Federico Condello – Alma Mater Studiorum Università di Bologna
diretto e interpretato da Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti
musica Patrizio Barontini
suono Tempo Reale
sartoria Made in Tina
luci e tecnica Andrea Sangiovanni
coordinamento organizzativo Luisa Costa
produzione Archivio Zeta 2011 al Teatro Romano di Fiesole – ripresa 2012 allo Spazio Tebe – riallestimento 2015 Aula Magna Santa Lucia/Homo sum, la Permanenza del Classico
con il Patrocinio del Centro Studi La Permanenza del Classico
visto a: Bologna, ex Chiesa di San Mattia, 23 gennaio 2018.
Vox Zerocinquantuno n.19, Febbraio 2018
Tutte le foto da:
Viviana Santoro, laureata in Italianistica, docente al liceo, spettatrice accanita e attrice occasionale, nutre una passione viscerale nei confronti delle parole, nel loro significato in continua evoluzione; quest’interesse l’avvicina all’uso che il teatro fa delle parole e, più in generale, al teatro come linguaggio sperimentale e come strumento didattico.
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